La crisi dei mutui sub-prime ha nel giro di poco tempo trascinato nel tornado in maniera massiccia tutti i mercati finanziari. Già qualche anno fa infatti, nell’arco di poche settimane, gli investitori hanno perso tutti i guadagni dell’anno. Le Borse europee, che non hanno gradito il calo a picco avuto, hanno subito un ammanco di oltre 300 miliardi di euro di capitalizzazione, 26 dei quali hanno coinvolto la sola Milano. Ma di cosa stiamo parlando nello specifico?

Mutui sub prime

Detto quando, proviamo a capire meglio cosa sono questi mutui “sub prime” e quali sono state le cause che hanno portato alla loro tremenda sconfitta.

Da circa una decina di anni gli operatori immobiliari statunitensi offrono mutui anche a persone con caratteristiche di affidabilità assai precarie. Si tratta di mutui (effettuati a tassi molto elevati e quindi molto redditizi per le banche) che hanno coperto in termini percentualisti il 13% di tutto il settore. Gli Istituti che erogano il prestito devono a questo punto reperire i capitali e l’operazione si concretizza con l’emissione di prodotti finanziari simili alle obbligazioni che vengono venduti in tutto il mondo (soprattutto ad investitori istituzionali statunitensi ed europei).

È naturale che, poichè i clienti dei mutui pagano tassi più alti della media del settore, anche chi finisce ad acquistare le obbligazioni legate ad essi ottiene un ricavo in termini di interessi superiori alla media. La logica alla base di questi prodotti è che proprio i sottoscrittori dei mutui (attraverso il pagamento delle rate) sono a garanzia delle cedole e della restituzione del capitale.

La conseguenza della crisi

Dopo aver inquadrato sommariamente la figura finanziaria, la domanda sorge lecita: qual è la problematica? Semplicemente che una buona percentuale molto elevata (molto più elevata dei modelli matematici delle banche d’affari e delle agenzie di rating) dei sottoscrittori dei mutui “sub prime” ha smesso di pagare le rate dovute, mandando in crisi tutto il sistema legato a questo settore.

Le prime ad entrare in crisi sono state (circa 5 mesi fa) le società specializzate nell’erogazione di questi mutui ‘sub prime’; successivamente hanno cominciato ad entrare in crisi le banche d’affari statunitensi che si occupavano dell”assemblaggio (il termine tecnico è “cartolarizzazione”) dei prodotti obbligazionari garantiti dai mutui “sub prime”. Infine sono entrati in crisi tutti gli investitori istituzionali che avevano acquistato questi prodotti attratti dai rendimenti elevati.

Ad un certo punto, i mercati finanziari che avevano considerato passeggera e provvisoria la cirsi, sono stati “coinvolti” da uno spirito nervoso e pessimista per le sorti del mercato.

Pessimismo su scala europea: è lecito?

Ma questo nervosismo e pessimismo è giustificato? A ben vedere, la crisi coinvolge direttamente solo due settori: quello immobiliare e quello bancario/finanziario, inoltre è confinata ai soli Stati Uniti (almeno per quanto riguarda il settore immobiliare). In queste settimane non ci sono stati segnali o dati macroeconomici che facciano supporre ad un allargamento della crisi ad altri settori o aree geografiche.

C’è da dire inoltre che gli effetti più allarmanti sono forse legati alla crisi di liquidità del sistema bancario fronteggiata giornalmente dalle Banche Centrali con una continua iniezione di denaro.
Questi interventi tuttavia sono da considerarsi prevalentemente “tecnici”, volti cioè a fronteggiare una situazione che si ritiene temporanea; se così non fosse le Banche Centrali avrebbero già iniziato a modificare le aspettative sui tassi di interesse (cosa che invece almeno per il momento non sta accadendo).

Se gli effetti di “contagio” di questa crisi verso altri settori e aree geografiche resterà contenuta, è probabile che la correzione che stanno attraversando i mercati finanziari possa rientrare velocemente, probabilmente entro la fine dell’anno. Perché ciò accada, è necessario però che le economie emergenti, l’Europa e il Giappone continuino a crescere in maniera simile al recente passato