Non passa giorno che i notiziari non informino i consumatori dei cambiamenti economici del carburante. Nell’ultima settimana il prezzo medio ha toccato 1,723 euro a litro, come ha riportato anche l’agenzia Ansa.
Non meglio per il diesel che sfiora picchi di 1,615 a litro, mentre il GPL sale fino a 0,617 abbandonando il minimo dello 0,587.
Tali notizie non possono che destare preoccupazione, anche perché se sale il prezzo di mercato, sale anche per i consumatori. Tuttavia è ormai cosa risaputa da tutti che i rincari sono legati prevalentemente alle elevate quotazioni del greggio.
Quello che forse non sappiamo – molto bene – è che sul prezzo in Italia aleggiano “tasse misteriose” che nonostante passi il tempo, si mantengono vive da oltre 70 anni e che il nostro caro Paese non fa nulla per abolire del tutto, dandoci meritato respiro.
Il prezzo complessivo si suddivide in diversi elementi contraddistinti. Se da un lato abbiamo il costo del prodotto raffinato, dall’altro c’è il trasporto primario, il costo di stoccaggio, ma anche le diverse spese di ufficio e punto vendita, fino al margine per il gestore. Appare evidente che diversi sono i fattori da considerare, ma tutte queste voci – che contemplano spese e guadagni per divesi soggetti – ammontano solo al 30% del costo del carburante.
La vera “beffa” per il consumatore arriva dalle note accise che pesano per il 52% sul costo totale.
In molti ignorano il fatto che, la prima sia stata introdotta da Mussolini nel lontano 1935. All’epoca il fascista stabilì – 1,90 lire al litro sulla benzina per trovare i fondi forti al fine di affrontare la guerra di conquista dell’Abissinia. Poi nel corso degli anni ogni Governo ha deciso di imporre “alti tassi volatili” per far fronte ad ogni qual tipo di necessità. Cosi avvenne quindi per la crisi di Suez (1956), per il disastro del Vajont (1963), fino alle guerre in Libano e Bosnia.
Andando ad analizzare ogni minimo dettaglio, può apparire un prospetto da cifre minime, nell’ordine del millesimo di euro o di 10 centesimi. Nonostante ciò, se sommate, hanno rappresentato un peso non indifferente nel corso del tempo, determinando un aggravio complessivo di quasi 25 centesimi.
La situazione economica influenzata da questa componente non si esaurisce certo qui. Questo in quanto, come spesso accade in Italia – ci ritroviamo a doverci rimettere una tassa sulla tassa. Su questi 25 centesimi di euro infatti, sommati alla vera e propria imposta di fabbricazione (definita per decreti ministeriali), viene aggiunta pure l’Iva del 20%.
Ma qual è il reale guadagno dello Stato?: i conti sono facili, ogni centesimo di aumento sul carburante porta nelle casse statali oltre circa 20 milioni di euro al mese. Una somma non di poco conto. Stando ai dati dell’Unione petrolifera nel 2007, le entrate fiscali alimentate dai prodotti petroliferi sono state superiori ai 35 miliardi (24,7 derivanti dalle accise e 10,5 dall’Iva).
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