Lo sapevamo già, ma abbiamo la conferma: l’Ocse – l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, nel suo rapporto aggiornato sulla tassazione delle buste paga tra i Paesi sviluppati, ha evidenziato come noi italiani abbiamo il primato di tasse e contributi sui salari.

In base ai dati, a fine mese portiamo a casa uno degli stipendi più bassi d’Europa, pari a circa 19.861 dollari annui (circa 13mila euro): tale cifra ci pone dietro a Paesi come la Grecia, dove lo stipendio netto di un lavoratore senza carichi di famiglia è pari a 25.572 dollari e la Spagna, 22.207 dollari il cui lordo è poco superiore a quello italiano, 27.913 contro 27.780 dollari.

A pesare sui salari italiani è soprattutto il cuneo fiscale, che nel 2007 è salito ancora dello 0,3% portandosi al 45,9%: l’Italia si posiziona così al sesto posto tra i paesi industriali più tartassati, collocandosi alle spalle del Belgio, dove si registra la pressione più forte pari al 55,5%, Ungheria (54,4%), Germania (52,2%), Francia (49,2%) e Austria (48,5%).

Tra i paesi industrializzati che vantano stipendi più alti i soliti noti: la Svizzera, con un netto medio di 34.136 dollari, il Lussemburgo (33.726) e il Giappone dove un lavoratore medio senza figli a carico porta a casa annualmente un netto di 33.189 dollari.

In fondo alla classifica Ungheria e Messico, sotto i 10 mila dollari.

Il timore degli italiani

È palese dunque che una simile situazione metta in bilico anche il morale degli italiani. Questi ultimi infatti, sulla base di un mero guadagno limitano anche le spese che affrontano, le quali restano molto basse.

Non a caso si stima che la prima metà del 2019 viene rappresentata da dubbi e incertezze economiche, che sicuramente non andranno migliorando all’indomani di questo cambiamento di governo. L’anno 2019 è destinato a chiudersi tristemente. Lo spiraglio di luce gli esperti lo intravedono, a partire dal 2020.

Resta comunque il fatto che il popolo italiano non solo tende a risparmiare ma si tiene anche ben distante dagli investimenti. Si dicono per la maggiori insoddisfatti da questo sistema bloccato che non spinge in alcun modo ad osare.

Pessimismo italiano

Non viene altro fuori che uno spirito pessimista, facilmente ripercuotibile sulla produttività nazionale, che chiude in negativo. Purtroppo il sistema è limitato e selettivo, troppo chiuso per permettere agli italiani di uscire da questa situazione impantanata.

Il 66% dei lavoratori part time spera di poter contrarre presto o tardi un lavoro a tempo indeterminato (circa il 50% in più che in Germania), mentre il 32% è ben consapevole che in mancanza di lavoro non riuscirà nemmeno ad appagarsi sulla sfera personale (difficoltà di sposarsi e metter su famiglia). Un valore troppo alto contro la media europea del 20% che risulta scarsa.

Confronto abnorme con l’Europa

L’immobilismo economico, la carenza delle paghe e l’insoddisfazione sul piano lavorativo, creano un quadro triste e senza colore all’interno della panoramica italiana. Il risultato? Angoscia per le sorti del futuro, per quelle dei figli e paura per la situazione ferma.

Non dimentichiamo che la preoccupazione aumenta a causa dell’immigrazione, aspetto questo che aumenta i dubbi verso l’Europa. In tal modo l’Italia diventa un paese che troppo legato al sentimento nazionalista, si tiene ben lontano dall’integrazione straniera.

Uno spiraglio?

Comunque sia c’è un barlume di speranza per gli italiani. Questa speranza si chiama green. Ovvero attenzione alla difesa dell’ambiente. Su questo versante lo spiraglio di luce invita i giovani a puntare su un settore in forte espansione che possa mettere in auge tutti quei beni e quei servizi utili a difendere l’ambiente e a rendere il pianeta più ecologico.

Il futuro è fatto infatti di vetture ecosostenibili o anche elettriche, vestiti e cosmesi bio e a impatto zero.